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Angolazioni. Racconto di un viaggio d’amore

 

 

Diario da una missione

Nairobi,  agosto 2018

Raccontare di un viaggio è  sempre cosa complessa.  Soprattutto se hai nella mente,  negli occhi e nel cuore,  la terra rossa d’Africa;  i suoi grattacieli;  l’odore dei rifiuti accesi all’ingresso di una baraccopoli,  le treccine colorate che accarezzano il volto di qualche bambina.

Raccontare di un viaggio… è  sempre cosa complessa.  Si corre il rischio di non dire tutto,o di dire troppo… di descrivere immagini troppe volte viste,  a cui si è  un po’  abituati.  Bambini neri che sorridono a uomini bianchi,  scimmie che rubano banane,  ragazzini che ai bordi strada sniffano colla,  baracche…  C’è  il rischio,  per chi torna,  di non essere mai totalmente in grado di accompagnare il lettore in quella esperienza,  in quel viaggio,  tra quei volti,  in quegli abbracci…
Partire per Nairobi,  per me,  è  stata una scelta… esistenziale.  Si può  decidere di partire per tanti motivi.  Ho visto persone scegliere questi viaggi con la convinzione di salvare il mondo;  persone farlo per protagonismo,  per poter aggiungere alla propria lista di viaggi un soggiorno così  alternativo;  altri muoversi per fede,  per vocazione,  per chiamata… ognuno ci metta il termine che vuole,  il dio che vuole.  Ognuno decide di farlo accompagnato da una buona,  per lui,  motivazione.

Io l’ho fatto per imparare.  A rimanere in piedi quando la vita ti cambia le carte in tavola e ti distrugge i sogni per la realizzazione dei quali hai lavorato per anni;  quando ti guardi allo specchio e non ti riconosci più.  Per capire cosa salva,  cosa rimane quando non hai niente.  Un viaggio con le mani aperte;  chiedendo,  domandando,  guardando,  annusando,  assaporando.
Mi hanno chiesto di raccontare il mio viaggio.  Capire il punto di vista col quale l’ho intrapreso è  essenziale per comprendere il mio sguardo e l’ angolazione del mio racconto.

Nairobi è  una metropoli di circa 4 milioni d’abitanti.  Una delle città  più  ricche del continente africano.  Una tra le 10 città più  violente del mondo. Come ogni metropoli ha grattacieli,  centri commerciali lussuosissimi,  quartieri glamour …  e slums,  baraccopoli,  che ai piedi dei ricchi chiedono vita,  diritti e dignità.

Io,  con altri ragazzi del Centro Missionario dei Frati Puglia-Molise,  capeggiati dal responsabile del suddetto ufficio,  fr. Francesco Cicorella,  abbiam scelto di trascorrere 15 giorni di condivisione,  ospitati da fr.Ettore Marangi,  che da anni oramai dona la sua vita,  il suo tempo e le sue energie all’ascolto attento di una terra tanto ricca e tanto martoriata,  sfruttata,  umiliata.
Ci siam messi tutti al servizio della comunità  e della baraccopoli di Deep Sea,  una delle tante presenti in città,  ognuno col suo compito:  animazione bambini,  corso di pc,  pulizie,  recupero di matematica.
Tutti indaffarati a guardare e ad organizzare il tempo e gli spazi secondo le nostre idee occidentali,  così  perfette,  lineari,  rigide.  Poi per fortuna i poveri ci hanno salvato.  E ci hanno fatto notare che tenere un bambino di pochi mesi in braccio così  come siamo abituati noi lì  non funziona più  di tanto,  che il bambino si calma più  velocemente se te lo posizioni dietro la schiena;  che regalare una confezione di colori ad ogni bambino perché  tra pochi giorni inizia la scuola e quindi ci potrà  andare con tutto il materiale necessario,  è  un’idea occidentale,  il nostro concetto di proprietà,  ma dove vige la condivisione e il senso di comunità  basta regalare 2 colori ciascuno,  se li scambieranno.

Che non occorre regalare indumenti da femminuccia a femminucce e indumenti da maschietto a maschietti,  perchè  quando non hai nulla,  i dettagli non contano;  conta solo avere qualcosa per proteggere dal freddo tuo figlio.  Piccoli esempi questi,  certo!  Ma quando condividi,  cioè  fai tuo,  nel modo in cui ti riesce,  la povertà,  la vita,  lo sguardo dell’altro di cui in quel momento sei ospite,  tante cose che dai per scontato e pensi universalmente valide si dissolvono e capisci che sei davvero dall’altra parte del pianeta,  con una visione tanto diversa,  della vita e della morte.

Di questo viaggio si può  raccontare tutto e il contrario di tutto.  Eravamo in 10 e vi assicuro che ognuno di noi può  scrivere di un’esperienza diversa.  Io posso dirvi cosa con le mie specifiche lenti ho visto.  E udito.  Dentro me.  Stando di fronte,  spesso accanto o volutamente dietro,  alle persone che… il Destino mi ha dato di incontrare.

Ho visto giraffe elegantemente muoversi nella savana,  milioni di gnu migrare e cicciotti ippopotami oziare nel fiume.

Ho ascoltato donne dalle dure storie cantare inni alla vita,  e ballare,  ballare fino a non avere più  le forze,  come una danza catartica,  come una danza della vita per la vita,  nella vita.
Ho visto bambini denutriti non riuscire a muoversi.  Ne ho visti altri,  con occhioni e sorrisi che mi si sono impressi nel cuore e nella mente. Ho sentito manine intrufolarsi nelle mie mani per accompagnarmi in giro tra la polvere e la terra e i rifiuti della baraccopoli  e visto piedini scalzi camminare in rivoli di fogna.  Ho sentito la voce dei bambini chiamarmi  teacher  mentre correndo mi venivano incontro,  all’ingresso della baraccopoli,  per abbracciarmi,  rendendo quell’ingresso,  così  duro e angusto,  un sentiero più  docile da attraversare.

Ho giocato a calcio con palloni di fortuna divertendomi un mondo;  ho visto fratellini gustare uno stesso lecca-lecca facendo a turno e altri sgranocchiare pezzi di plastica impolverati trovati per terra.
Ho visto bambini srotolare gomitolini di carta contenenti cibo spiegandomi che quello sarebbe stato il loro pranzo.  Ho ascoltato i loro racconti,  corretto esercizi di matematica a bambini intelligentissimi,  preso da loro lezioni di inglese,  lasciandomi stupire dalla loro gioia quando parlavano della scuola,  di questo grande privilegio!

Ho visto la terra rossa d’Africa ricoprire le mie gambe ed occuparmi le vie respiratorie,  lasciandomi un sapore sgradevole e polveroso nella gola;  colonne di fumo ricordarmi che stavo scegliendo,  ancora una volta,  di entrare in un luogo maledetto dai ricchi,  d’Africa e del mondo,  secondo le posizioni ideologiche che ogni giorno ci plasmano lo sguardo.

Ho visto un incendio lasciare amici senza casa e senza nulla,  se non le robe che indossavano;  ho visto lacrime,  paura e devastazione mangiarsi ogni cosa.  Ho visto uomini recuperare lamiere e bambini cercare chiodi in montagne di cenere.  Ho visto donne,  madri,  perdere tutto e con tanta dignità  e forza e speranza e preghiera pensare alla ricostruzione.

Ho visto poveri sorridere e pregare Dio.  Accoglierci con tanta discrezione,  attenzione e cura ringraziandoci per averci conosciuto.  Forse senza neanche sapere quanto fossimo poveri e meschini noi,  con le nostra pelle bianca,  la nostra libertà  e la nostra ricchezza.  O forse ne sono ben coscienti ma proprio perche poveri,  cioè  umili,  semplici,  belli,  accoglienti,  essenziali,  ci hanno riconosciuto come fratelli e sorelle.  Penso a quanto sia difficile invece per molti di noi riconoscere loro come nostri fratelli e sorelle.

Ho visto terra e fango ovunque;  rifiuti,  lamiere,  carbone…  Persone con un solo piatto di fagioli invitarmi a pranzo,  persone poverissime… Ho visto la povertà,  materiale.  Riconosciuto l’odore.  Ho visto pallottoline di coperte contenere neonati…cunicoli bui e bassi dividere baracche;  ho visto teli di plastica per terra sporchi di fango e massi sui tetti per fermare le lamiere.
Ho ascoltato i ritmi di questa terra,  la grande energia e determinazione;  la passione per la vita,  nei suoi colori e nella sua naturalità.  Mi è  parso di essere nel centro del mondo,  nel quid della nostra umanità,  tanto ferita quanto redenta.

Sono volutamente dura nelle espressioni e nelle immagini,  non alla ricerca di pietismo o compassione,  ma semplicemente perche dura è  stata questa esperienza per me.  Non nell’organizzazione o nelle cose da fare,  ma dura nell’accettare,  nel guardare,  nel sapere che c’è  chi vive non avendo davvero nulla,  privato della sua dignità  di donna e di uomo.  Per comodità.  Per la comodità  di una parte del pianeta che,  almeno apparentemente vittoriosa,  regola e decide per il restante mondo.

Io non ho risposte alle mie tante domande.  Però  una cosa è  certa.  L’Africa è  tempo di gratitudine,  di benedizione per la vita tutta;  per quella così  scontata,  a volte noiosa,  vita che conduciamo qui,  dove tutto è  dovuto,  dove tutto è  nostro,  dove tutto è  banalmente quotidiano.

Quando il pomeriggio tornavo a casa,  tra mura di mattoni,  con docce,  acqua potabile,  cibo,  calore,  elettricità  …  Quando il pomeriggio tornavo a casa il mio pensiero era inchiodato a quanto visto nelle ore precedenti,  nei miei occhi immagini…  E allora i poveri ti insegnano anche a ringraziare la vita per ciò  che hai.  Per ciò  che hai ricevuto in dono,  dalla Vita,  dal fato,  dal destino.   In dono … e in quanto tale va condiviso. Per cui anche stare in questa parte di mondo non può  che diventare occasione preziosa di dono,  di condivisione,  di servizio mettendo a disposizione ciò  si è  e si ha per dare voce a chi non ha voce,  o meglio,  a chi la voce ce l’ha ma gli è  stata tolta dalla violenza dei potenti.

Sono partita nella speranza,  e forse preghiera,  di capire,  trovare un modo per stare in vita quando ti sembra che la vita stessa abbia deciso di lasciarti e l’impatto con la Vita keniota mi ha accennato una possibilità.

Ciò  che le amiche di Deep Sea mi hanno insegnato è  che… quando non hai nulla,  quando pensi,  o forse è  oggettivamente così,  di aver perso tutto,  ma davvero tutto,  e penso anche all’esperienza di un grave lutto o di un importante malattia,  ciò  che rimane,  e forse salva dalla disperazione e salva la nostra umanità,  sono le relazioni.  Un gesto di cura,  un attenzione silenziosa,  la condivisione della vita,  semplice,  tutta,  così  com’è,  nella gioia e nei dolori.  Credo in questo.  Margaret,  Lillian,  e le persone tutte incontrate in questo strano viaggio,  mi hanno insegnato la preziosità  della condivisione e dello stare e rendersi disponibili alla relazione.

Forse vi può  sembrare poco ma questo è  il racconto del mio viaggio.  E forse in questo tempo…  io avevo bisogno di riscoprire o scoprire più  pienamente questo.

Camminare per le stradine della baraccopoli,  con bimbi che ti tengono la mano e donne che ti mostrano tutto ciò  che hanno che è  niente… ti taglia il cuore.  Di pietra.  Per renderlo più  umano.  Più  amante.  Delle sorelle e dei fratelli.  Del creato.  Dei propri limiti.  Degli errori.  Di sé.

Questo è  stato l’essenziale del mio viaggio:  povertà  a confronto,mani tese,  sguardi attenti,  condividendo la quotidianità  di persone belle,  tanto ricche,  accoglienti,  messe ai bordi della vita dei potenti.

Riecheggia la Parola…  “fate in modo che il diritto scorra come acqua di sorgente,  e la giustizia come un torrente sempre in piena”  (Am 5,24)

Francesca Cavallo

 

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