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Ascolto come scuola di relazione e comunione

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Importante per ognuno di noi è stato l’incontro con Soave e Luca,realizzato in seno all’iniziativa Ascolto attivo per la risoluzione nonviolenta dei conflitti: il tema scelto è un tema che ritroviamo nella  nostra esperienza personale quotidiana. Oggi ci troviamo continuamente di fronte a relazioni che vanno in crisi:all’interno delle famiglie è vivissima la difficoltà ad entrare in relazione con i propri figli, con i propri mariti, con le proprie mogli; passiamo poco tempo insieme  e quel tempo che passiamo lo trascorriamo male facendolo diventare  un tempo di conflitto, oppure cerchiamo di compensare con chat, social forum, che aumentano la quantità delle nostre relazioni, ma di fatto le impoveriscono.

Quando parliamo del tema del conflitto, prima di tutto dobbiamo sfatare un mito:quello per cui  la pace è l’assenza di conflitto,  perchè ogni relazione porta con sé un elemento conflittuale. Daniele Novara, un esperto della gestione costruttiva dei conflitti, afferma  che buone relazioni sono quelle che permettono i conflitti, mentre invece le cattive relazioni portano ad atteggiamenti cimiteriali: dove non c’è conflitto si vive una relazione da cimitero, piatta,  morta. Il conflitto invece, è un’opportunità, una possibilità creativa di stare nella relazione, perché affrontare il conflitto ci dà la possibilità di vivere altre relazioni con persone diverse da noi e se èben gestito quindi,rende la relazione migliore, più profonda, più intima. La diversità è ricchezza ma sempre  dove c’è diversità c’è conflitto. Imparare la gestione del conflitto significa fare un cammino personale perché noi stessi siamo esseri conflittuali, il conflitto lo viviamo prima nella nostra dimensione interiore, interna: quante volte ci scopriamo a pensare al modo di comportarsi di un altro, a volere una cosa e poi a dire un’altra cosa; quante volte ce l’abbiamo con noi stessi perché non accettiamo, non vogliamo una determinata conflittualità che sentiamo.  

Imparare la grammatica delle emozioni per un cammino nonviolento

La maturità di una persona e la realizzazione dell’essere umano come persona passa attraverso l’integrazione degli opposti che convivono in noi:noi siamo bene e siamo male, siamo buoni e possiamo essere cattivi, siamo generosi ma anche invidiosi, avari; vogliamo bene a nostro figlio,a nostro marito a nostra moglie eppure quanta violenza gli scarichiamo addosso, quanto amore e odio. Iniziamo quindi a dire qualcosa di teorico e pratico sulla gestione nonviolenta dei conflitti.

Primo passo:  innanzitutto è importante prendere le distanze davanti ad un conflitto. Facciamo un esempio pratico:quando dobbiamo spellare le patate lesse se le facciamo appena tolte dall’acqua bollente ci scotteremo inevitabilmente le mani. Dobbiamo aspettare che raffreddino un po’per riuscire a pelarle. E così è anche nel conflitto: a volte mettere una certa distanza dalla situazione aiuta ad avere una visione più generale,perché  se l’affrontiamo subito rischiamo di scottarci,cioè  rischiamo di non gestire bene le nostre emozioni.

Secondo passo: imparare a prendere confidenza con le proprie emozioni, ad essere consapevoli dell’emozione che stiamo vivendo,che può essere rabbia, dolore, può essere paura, può essere anche altro, poiché a volte addirittura anche la gioia può generare conflitti: c’è qualcuno che non si può permettere di essere felice e si autopunisce per questo .

Il terzo pascomunicareso, dopo aver preso consapevolezza delle emozioni,èiniziare a separare pensiero ed emozione. Iniziare a pensare innanzitutto  che l’altro non è la causa della mia emozione. L’altro può essere solo lo stimolo della mia emozione, ma l’emozione che sto vivendo è la mia!

Un esempio: state aspettando  un’amica o un amico ma questo fa ritardo; passa il tempo, ma quello/a non arriva. Quali sono le reazioni? Dall’uditorio arrivano risposte che ci dicono che davanti alla medesima  situazione si verificano comportamenti e reazioni diverse: chi si arrabbia, chi si preoccupa, chi taglia la relazione con l’amico, chi pensa di dargli una lezione di buona educazione. Questo dimostra che non è l’amico che genera un’emozione definita: l’amico può essere lo stimolo ma non la causa di quello che accade dentro di noi, la stessa situazione può comportare emozioni diverse perché  le nostre emozioni sono autobiografichecioè parlano molto della nostra storia

Dunque, se l’altro è lo stimolo all’emozione, che cosa in realtà genera l’emozione? L’emozione è generata dal  pensiero:davanti ad uno che fa ritardo,quello che si preoccupa starà  pensando che all’amico può essere capitato qualcosa; chi si arrabbia pensa probabilmente che egli sia una persona maleducata. L’emozione realizza ciò che pensiamo, essa è la reazione della nostra mente: è al pensiero dunque che sussegue l’emozione.

Il quarto passo consiste nella possibilità di rispettare la diversità dell’altro davanti alla stessa situazione, vale a dire la possibilità di rispettare l’emozione che nella medesima situazione l’altro sta sperimentando e che puòessere completamente diversa dalla mia.  Noi siamo tentati spesso di generalizzare: “beh, è normale che se uno fa ritardo, l’altro si deve arrabbiare”:no,abbiamo scoperto con un esercizio banale che non è normale, perché ci possono essere reazioni diverse.

Spesso accade che per giustificare un certo tipo di reazione sosteniamo che lo abbiamo fatto d’istinto, perchè questo è il nostro carattere: occorre disambiguare quindi questa parola.   In italiano la frase “è una persona di carattere” ha un’accezione decisamente positiva quando indica una fermezza, un temperamento equilibrato  e questo accade soprattutto quando si riferisce alle generazioni che hanno già un bel po’ di lune sulla testa, cioè che hanno vissuto un buon tempo di vita. Quando la fermezza viene però estremizzata, essa diventa rigidità per cui questo carattere positivo diventa una forma caratteriale negativa pericolosa per le nostre relazioni, poichéincastrandoci in un copione ci porta a  fissare alcune modalità di risposta.  

Facciamo un esempio. Tutti noi persone mature, abbiamo avuto relazioni con adolescenti e sappiamo molto bene  come sia indispensabile imparare a permettersi di vedere l’altro che ti spezza, perché ti mette delle volte a confronto con le tue fermezze che per lui o per lei sono rigidità. Quando i nostri genitori o i nostri nonni- persone di carattere maschile,una "maschilitàdi carattere fermo"– si mettevano  in relazione con il totale nomadismo tipico dell’adolescenza - che invece è proprio il contrario della fermezza caratteriale- in famiglia abbiamo visto scintille. Come può essere risolto in maniera nonviolenta il conflitto che si genera quando la fermezza  dell’età adulta incontra il nomadismo dell’adolescenza? Sicuramente il carattere fermo non deve transitare verso la rigidità, poiché il carattere rimane fermo proprio quando, invece, riesce a navigare nel nomadismo dell’altro senza perdere la fermezza, senza portarci a diventare  rigidi. In questo esercizio che la vita ci insegna,  la libertà è  riuscire ad uscire dal nostro carattere, per essere più liberi di scegliere, liberi di fare, liberi di agire.

La soluzione nonviolenta dei conflitti, cioè il modo nonviolento di stare al mondo, è proprio un cammino che si realizza passo dopo passo e che ha come primi passi il non considerare l’altro come causa dei miei sentimenti, delle mie emozioni, esercitandoci piuttosto ad incontrare in noi la risposta ad uno stimolo esterno: la gestione nonviolenta dei conflitti è dunque un cammino di consapevolezza e di libertà, perchè davanti alla stessa situazione io do a me e do anche all’altro la possibilità di scegliere come reagire, la possibilità di cambiare.

  Ascoltare significa…

Ascoltare è diverso da sentire, perchè possiamo sentire tante parole senza riuscire ad ascoltarne nemmeno una:se io ti ascolto veramente, io accolgo quello che stai dicendo.  Ascoltare significa creare uno spazio accogliente e di rispetto: ciò che mi dici è importante per me anche se dovessi pensarla  in modo completamente diverso.

Facciamo un esercizio, una sorta di test che possiamo fare con  noi stessi quando vogliamo sapere se stiamo ascoltando qualcuno/a che mi sta parlando: io sto ascoltando, quando una persona dice qualcosa con cui io non concordo, ma in ogni modo sono perfettamente in grado di ripetere le cose che mi sta dicendo secondo il suo punto di vista. “Provo a ripetere ciò che tu hai detto, per favore correggimi se sto sbagliando, se sto interpretando diverso da ciò che tu volevi dire”. Questo è il passo fondamentale per capire se stiamo ascoltando, perché a volte, molte volte, quasi sempre noi ascoltiamo, non siamo d’accordo e iniziamo con congiunzioni avversative “no, ma, però" e  non percorriamo, se non dopo una lunga educazione all’ascolto attivo e metodi nonviolenti, il cammino del “provo a ripetere ciò che tu hai detto e tu dimmi se l’ho capito nel modo in cui tu volevi trasmetterlo. Tu intendevi dirmi questo? ”.

 L’arte dell’ascolto attivo

 L’ascolto attivo ha bisogno di un’arte, di un’intelligenza che è una delle tante intelligenze. La filosofa della differenza Luisa Muraro, docente dell’Universitàdi Verona e fondatrice della Scuola di Diotima,  parla di intelligenza d’amore, prendendo questo concetto da un’antica scrittrice medievale, Margherita Porete e dall’esperienza delle beghine del 400.  L’intelligenza d’amore è simile all’antica arte di disfare le maglie: le donne la conoscono  molto bene e tutti sono stati bambini intorno alle loro madri e magari le ricordano mentre, sedute nelle sere d’inverno  sulle sedioline basse che ancora oggi qualcuno ha in casa, disfacevano le maglie di lana invecchiate, rovinate, che non si potevano più indossare.  Una volta disfatta, la maglia non è più quella maglia, ma  diventa  un gomitolo o più gomitoli che sono di quella maglia ed erano la struttura di quella maglia, ma con con cui si possono inventare cose nuove.  Questo è  molto diverso dal distruggere (distruggere i paradigmi, distruggere i concetti), perché disfare vuol dire che anche se  un certo  modo di pensare non ci serve più, tuttavia la tradizione di pensiero che è rappresentata da quel filo e da  quel gomitolo ci può servire ancora: occorre trasformare la nostra metafisica, cioè il nostro modo di pensare. Il pensiero non violento non è “o …o” ma è “e…e”, cioè nel modo di stare al mondo ci sta il pensiero di Antonella e insieme ci sta anche il pensiero di Carlo.

E’ necessario abituarsi ad un pensiero complesso, che non vuol dire complicato: complicato (da cum-plicare)  indica  una  cosa tutta fatta a pieghe, che ha sempre bisogno di essere spiegata da qualcuno, per cui il com-plicato necessita di essere s-piegato dal “dottore o dottoressa”di turno; complesso invece significa  composto  da molti fili diversi che possono stare assieme esattamente come in un tappeto fatto a mano. Questo cum-plexus è la vita, il tessuto vivo  della realtà, il tessuto della vita in cui possono stare assieme diverse possibilità: insieme si può affermare e si può dialogare. Facciamo un esempio: guardiamo alla natura. Sicuramente non è complicata, non c’è bisogno di un Darwin che ce la spieghi anche se questo indubbiamente  ci ha aiutato molto: il segreto della natura  è nella sua complessità, cioè nel fatto che essa è composta da  tante realtà diverse che riescono  a co-spirare, a respirare assieme e se questo non accade, la vita non avviene. 

Come facciagesùmo a imparare a dialogare, ad ascoltare? Qui ci aiuta un’arte, che è tipicamente femminile, come l’intelligenza d’amore: si tratta dell’arte maieutica, l’arte di far partorire, di tirar-fuori che un tempo era praticata in casa proprio dalle donne. L’arte maieutica è l’arte del porre domande che ci aiutano a conoscere e partorire noi stessi e a partorire l’altro, cioè ci aiutano a  partorire la relazione, poichè è solo attraverso il porre domande che generiamo relazioni nonviolente, relazioni vere.   Io faccio una domanda che mi aiuta a comprendere, ad ascoltare meglio l’altro “ho capito bene? mi hai detto questo?”  oppure quando siamo di fronte  ad un conflitto: “che cosa stai sentendo? “Come mai un gesto che per me è stato spontaneo, ti ha creato tanta rabbia?” Domandando, non pretendendo di conoscere, di sapere, impariamo ad entrare nel mondo dell’altro per comprendere la sua posizione.   

Nella nostra esperienza di formazione, di scolarizzazione e di educazione, a volte ci è stato insegnato che la risposta è più importante della domanda: l’esercizio vitale invece non è tanto  produrre risposte, ma sostenere il parto di domande, sostenere la possibilità di domande.

Nella possibilità di fare domande risiede la possibilità di avere relazioni mature e nonviolente: la verità, anche  papa Francesco lo dice, è relazione. Le mie domande incontrano le tue domande e proprio in questo ci mettiamo in relazione io “e “te: le nostre domande, tutte, possono convivere e noi possiamo abitarle.

Per abitare le domande occorre anche tempo, ci vuole il tempo del cuore per ascoltare la risposta ad una domanda. Chiedere a qualcuno  ”Come stai?” è diverso dal chiedere “Tutto a posto?”: la seconda non è in realtà una domanda poiché non pone tempo, non ha tempo per una risposta.  L’ascolto attivo è il più basso, il più lento, il più fragile.  

Talvolta, la risposta alla domanda è il silenzio. Se non arriva una risposta e l’altro si chiude nel silenzio, chiediamo a noi stessi se non parla perché non vuole o perché non può… Poi consideriamo che anche dal silenzio di una persona puoi “ascoltarti”. Come mai pretendi che la persona parli? E’ un desiderio o è una pretesa? Il cammino di una possibilità non violenta centra il primo passo su di noi, non sulle colpe degli altri: quali  emozioni ci provoca il silenzio dell’altro? Il silenzio è un codice linguistico,proprio come il corpo: il corpo è esso stesso comunicazione e chi esercita l’ascolto attivo, sta attento a ciò che dice il corpo. Con la persona si costruisce il dialogo solo se  ci poniamo  come retro-pensiero quello  che  l’umanità è buona,anche se noi siamo stati abituati a pensare il contrario.

Chi ha incontrato Gesù, questo lo sa: le persone che hanno incontrato il Signore hanno un orizzonte utopico di speranza che le rende ottimiste. L’umanità è stata per troppo tempo pessimista, ma adesso c’è papa Francesco che ci mostra una chiesa che procede "misericordiando". Un punto di partenza ermeneutico, capace di aprirci all’interpretazione del mondo, della sua realtà e dei suoi misteri può essere questo: il pensiero cambia perchè le cose scorrono.

Anche noi possiamo cambiare: non dobbiamo avere paura del cambiamento, perchè non cambia l’Amore che ci ha generati. Anche se noi facciamo tanti errori, la somma di tutti i nostri errori, da oggi fino ai prossimi cent’anni, non siamo noi.

Noi siamo Grazia! E l’altro è uguale a noi.

Sintesi del Seminario "Ascolto attivo per la risoluzione nonviolenta dei conflitti"(28.10.2013)

 

 

 

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