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Esodo, Esilio: quale cammino, quale Dio?

Scuola biblica nazionale 8-9 febbraio 2014

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L’aspetto della scuola biblica è molto importante nel percorso di lettura popolare della Bibbia:fare scuola, partire dal testo, guardare il contesto per capire cosa voleva dire l’autore, per finire al perché del testo,cercando di comprendere che valore ha il testo per noi oggi, vedere quale è la situazione della nostra vita oggi: intreccio tra vita e parola nella nostra realtà. L’incontro si apre con le presentazioni: Enrico ci chiede di metterci in ordine in cerchio in base ai nomi,poi in base alla lontananza di ciascuno da Verona. Recitiamo a cori alterni maschile e femminile il Salmo 78.

Presentazione del Corso Biblico

Perché parlare del “racconto“ di Esodo? Perché l’Esodo è una memoria ricorrente nella storia del popolo di Dio e poi del popolo cristiano. Da lì tutto è nato e questo è stato capito dopo, nel corso della storia,  per questo è importante la memoria, ritrovare un Dio che è Iawhè, “Io ci sono”. Credere in Esodo vuol dire credere che “Dio sta in mezzo a noi”.

Come approcciarsi ad Esodo?   

 È inutile cercare di capire cosa è successo, ma come questo libro è stato letto e interpretato nel corso della storia e il modo migliore è fare riferimento alla tradizione ebraica.  Se guardiamo alla celebrazione ebraica della Pasqua, ci possiamo rendere conto di come ogni generazione deve considerarsi come uscita dall’Egitto, ognuno come se fosse uscito dall’Egitto: nel testo della Haggadàh di Pasqua, recitato in ogni famiglia ancora oggi, compare questa significativa formula: “In ogni generazione ognuno deve considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, perché il Signore non liberò solo i nostri padri, ma noi pure con loro; perciò noi siamo tenuti a lodare, celebrare, encomiare, glorificare, innalzare, magnificare ed esaltare il Signore che fece ai nostri padri e a noi tutti questi miracoli.  Perciò diremo davanti a lui un canto nuovo. Alleluia“.

La tradizione di lettura dell’Esodo sia cristiana che ebraica è molto simile: Mosè siamo noi, Mosè sono io (Card. Martini).  L’Esodo è l’unico testo in cui la storia è letta dalla parte dei poveri e il Dio d’Israele è colui che ama gli ultimi, gli emarginati, gli sfruttati, Colui che si rivela come Jawhè, «io ci sono»:credere in questo Dio significa accettare di vivere questa esperienza di Dio per costruire una società giusta.

 

SINTESI DELL’INTERVENTO DI SERGIO CARRARINI

Prete veronese, don Sergio Carrarini è animatore di gruppi di lettura popolare della Bibbia. Ha scritto un libro sull’esilio dal titolo “L’Esilio. Tempo di crisi e di speranza”. 

Andiamo incontro all’Esodo a partire dal testo. Il libro dell’Esodo compare all’interno del Pentateuco, in cinque libri. Inizialmente era un unico rotolo poi, a causa dell’eccessiva lunghezza e per la difficoltà di conservarlo e trasportarlo, venne suddiviso in rotoli più piccoli, a ciascuno dei quali venne dato il nome della parola iniziale; il Pentateuco è  conosciuto dagli ebrei anche col nome di Torah, la legge.

Quali sono le fonti del racconto di Esodo? 

La prima tappa nel processo della nascita della Torah sono le cosiddette “raccolte jahwiste”. Alla corte di Davide e di Salomone, fra l’anno 1000 e il 900 a.c.,  vengono raccolte le tradizioni antiche per presentare l’intervento di Dio nella storia del popolo e spiegare lo stato di benessere (e i suoi rischi) che il popolo sta vivendo in quel momento. È un’opera di Gerusalemme realizzata delle genti del Sud, è legata alla monarchia e sottolinea in Esodo la lotta di liberazione e la conquista del Regno: Mosè viene dipinto come un condottiero, un militare.  

Un altro tipo di testi nasce invece al Nord, nella zona abitata dalle tribù di Efraim e Manasse e comprendono soprattutto la predicazione dei profeti.  Il popolo d’Israele nei secoli IX e VIII si sta allontanando pericolosamente dal culto di Jawhè per seguire i culti cananei; i profeti intervengono a ricordare e a far ricordare. La predicazione dei profeti riguardo all’esodo si chiama  tradizione eloista, perché chiama Dio con il nome comune di Elohim. Mosè e Miriam sono presentati come il profeta e la profetessa per eccellenza.

In questo stesso contesto, durante questi secoli, lavorano anche dei catechisti popolari, uomini che si dedicano alle missioni popolari nelle campagne, alla formazione catechistica della gente semplice, che abita lontano dai grossi centri religiosi. Queste persone lavorano per la riforma dei costumi con un insegnamento profondamente moralistico e ricordano sempre il passato intervento di Dio, insistono sul ricordo dell’esodo per correggere le cattive abitudini del popolo. Questi leviti si considerano dei continuatori dell’opera di Mosè e tramandano, adattandoli alle nuove situazioni, le norme e i precetti mosaici. Il lavoro di questi catechisti popolari darà origine al libro del Deuteronomio  e alla tradizione deuteronimista,  che è quindi legata alla lettura del Deuteronomio (ultimo libro del Pentateuco, detto anche della seconda legge, che presenta una attualizzazione della legge per il tempo della riforma di Giosia; vd. II Re,cap. 22-23). Questa tradizione è poco presente nell’Esodo, poiché è stata piuttosto ripresa da chi era rimasto in Giudea (scribi, sacerdoti): in essa il principio fondamentale è che la legge è sempre valida in ogni tempo.

A questi tre elementi dobbiamo aggiungere un quarto molto importante. È l‘insegnamento dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme, che formano una casta chiusa, un gruppo che conserva scrupolosamente le proprie tradizioni religiose e culturali, le regole dei sacrifici, le norme delle liturgie, i criteri per la costruzione del santuario, dell’altare, dei parametri liturgici. Questo gruppo di persone conserva e tramanda antiche abitudini, ma le applica, le attualizza, le aggiorna continuamente. Tutto il materiale elaborato dagli uomini del tempio viene catalogato come tradizione sacerdotale.

Queste quattro tradizioni parlano tutte dell’esodo, scrivono della vicenda fondamentale vissuta da Israele, compongono testi relativi all’oppressione in Egitto, alla liberazione, alla manifestazione di Dio sul Sinai, al dono della legge,al peregrinare nel deserto; ma ogni tradizione ne parla e ne scrive secondo proprie prospettive, quindi in modo diverso dalle altre. 

Quando venne scritto?

Il libro non è storico: contiene della storia, ma ripensata teologicamente, con uno sguardo di fede.

Il contesto in cui si situa il racconto di Esodo è fondamentalmente quello dell’esilio e post-esilio. Si definisce come esilio (anche se si è trattato di deportazioni forzate e non di fughe)  il periodo che va dalla prima deportazione a Babilonia del re Ioachin e della classe dirigente del regno di Giuda nel 597 a.C. fino all’editto di Ciro, re di Persia, che nel 538 a.C.  concede a tutti i deportati la possibilità di ritornare alla loro patria.

Dopo i saccheggi, gli stupri delle donne, l’incendio del tempio, della reggia e delle case più importanti, erano state demolite le mura e gli ebrei superstiti della classe dirigente, del ceto artigiano e i pochi giovani rimasti erano stati deportati a Babilonia (eventi narrati nei salmi 137,74,79). Nei salmi che ripercorrono gli eventi ci sono ricorrenti delle laceranti domande: Israele è finito per sempre? Jawhè è stato sconfitto dai Babilonesi? Resta qualche speranza? Si possono fare dei progetti per il futuro o tutto è naufragato nella vergogna della sconfitta e nell’esilio della classe dirigente? In quale Dio credere?

 I 50 anni di esilio a Babilonia incisero fortemente sul futuro sviluppo della religione ebraica: in quel periodo, infatti, vennero gettate le basi per la raccolta e la stesura di molti testi sacri che compongono la Bibbia ebraica e cristiana. Durante l’esilio infatti arrivarono a maturazione il progetto di restaurazione giudaica sacerdotale teocratica, sfociato poi nel Giudaismo legato al Secondo Tempio; il progetto di radicale rinnovamento denominato “Luce delle Nazioni” (Is. 49,6b); una più precisa codificazione delle forme di preghiera e delle regole di comportamento degli ebrei residenti tra le nazioni (diaspora). L’esilio sancisce la fine dell’illusione di poter creare la giustizia e la pace attraverso le vie del potere regale, delle alleanze politiche, del sincretismo religioso, culturale, morale mutuato dai popoli vicini: dalle ceneri della reggia, dal pianto degli esuli, ma soprattutto dalla fede di gente umile e povera, nascono progetti nuovi e nuove speranze di vita per un futuro di giustizia e di pace. 

In quale Dio credere?    

Poichè la monarchia aveva tradito l’Alleanza, il bisogno che sottende la scrittura dell’Esodo è quello di riscoprire il proprio Dio e ritrovare l’identità, le radici come popolo e nazione.

L’attualità dell’esodo scoppia proprio in esilio perché, durante l’esilio i superstiti si rendono conto che stanno vivendo la seconda edizione dell’esodo, stanno vivendo di persona quello che per tanto tempo hanno semplicemente ascoltato come capitato ad altri.  

La distruzione del tempio aveva posto un grave problema di fede agli ebrei: se Dio non aveva saputo difendere il suo tempio, si poteva ancora credere che Jawhè fosse l’onnipotente Signore del mondo e sperare nel suo aiuto? Non era forse meglio cambiare divinità? Davanti agli ebrei rimasti in Palestina, a quelli deportati a Babilonia e agli ebrei fuggiti in Egitto, c’erano tre scelte:

  • Tornare al culto degli dei di Canaan (che non era mai stato abbandonato del tutto);

  • Adorare gli déi  Caldei o  egiziani (di cui ammiravano i grandi templi);

  • Restare fedeli a Jawhè (anche se non sapevano piùcome e dove pregarlo).

Il tempo dell’esilio diventa un periodo fecondo di rielaborazione di tutta la storia passata d’Israele e di scrittura dei Testi Sacri (scribi deuteronomisti):  senza più un re, dei sacerdoti, dei profeti, degli scribi, chi poteva guidare gli ebrei rimasti in patria? Come resistere in una situazione così difficile? A quale progetto di vita ispirarsi?  Quale Dio pregare?

 Non c’è più lo sfarzo delle città e i riti del tempio; il livello culturale si è abbassato, ma si cominciano a tessere rapporti di solidarietà tra famiglie e villaggi, la provincia di Samaria è diventata crogiuolo di razze, religioni, culture diverse, anche se i samaritani si considerano un popolo ebreo e adorano Jawhè come Dio supremo. La Giudea sta seguendo la stessa strada, tanto che, i rientrati dall’esilio (30 anni dopo) chiameranno, con senso di disprezzo, i loro fratelli ebrei rimasti in patria “popolazioni locali” o “il popolo della terra”. Di fronte alla tragedia che continua nel presente, la preghiera degli ebrei si trasforma:la descrizione delle grandi difficoltà che le persone e le famiglie dovevano affrontare per vivere e il riconoscimento delle proprie responsabilità per la situazione che si era creata, portano ad una affermazione importante su Dio: “Tu rimani per sempre!”.  Dio è fedele alle sue promesse, è un Dio che si prende cura dei suoi figli.  Segue un’invocazione: “Facci tornare a te, Signore, e noi ritorneremo”. La preghiera da lamento si trasforma in impegno a cambiare mentalità e scelte, a iniziare un percorso nuovo di vita. Restano gli interrogativi sul come e sul quando Dio manifesterà la sua benevolenza verso Israele, ma la strada della rinascita è già tracciata. Una pista sembra darla il riferimento “ai tempi antichi”, cioè l’invito a tornare alla società delle tribùche riprenda, in modo nuovo, le scelte fondanti di Israele, cioè i Comandamenti e il codice dell’Alleanza.

 Dalla crisi di cui abbiamo parlato viene il bisogno di scrivere le antiche tradizioni che si erano conservate e che per la maggior parte erano orali. Questo lavoro inizia proprio durante l’esilio in Babilonia (dove ricordiamo era stata deportata l’èlite),ma anche in Giudea (dove erano rimasti i poveri, che si erano visti redistribuire le terre).

Contenuto dell’Esodo  

È bene ripetere che il libro dell’Esodo non è un libro di storia: l’intento degli autori non è quello di descrivere i fatti, ma di realizzare una lettura di fede di eventi che comunque hanno di certo un nucleo storico. Ci sono voluti circa 800 anni per scrivere e completare il libro dell’Esodo, come lo conosciamo noi. Probabilmente, il racconto si riferisce al periodo dello splendore dei faraoni: nel libro dell’Esodo, leggamo che la convivenza tra egiziani ed ebrei arriva ad una svolta durante il regno di Ramses II, il faraone che regna dal 1290 al 1224 circa, instaurando un periodo di pace per rafforzare la monarchia.  

Ramses ha progetti di grandezza, vuole riempire l’Egitto di grandi costruzioni e usa come manodopera non solo gli schiavi, ma anche i pastori, che vengono costretti a prestazioni obbligatorie e gratuite tipo corvèes, cioè vengono costretti a svolgere duri lavori sedentari. Durante il regno di Ramses si verificano almeno due esodi:prima del piùfamoso esodo guidato da Mosè,vi fu secondo gli storici un altro esodo lungo la via marittima (che era piùfacile e breve),sotto forma di espulsione di un gruppo troppo turbolento (probabilmente appartenente al regno del sud,quindi alle tribùdi Giuda e Beniamino), che  venne scortato dalle guardie del faraone fino ai confini,per assicurarsi che non rientrasse. Questo primo esodo avvenne lungo la via del mare e portòle tribùche avevano abbandonato l’Egitto a stanziarsi nelle zone del sud. 

Successivamente si colloca  invece il secondo esodo, realizzato questa volta con l’inganno: non si sa con sicurezza se accadde sotto Ramses II o suo figlio, ad ogni modo fu questo l’esodo guidato da Mosè,questa volta lungo la via del deserto, più sicura anche se più lunga e difficile.

Mosè non è persona storica, anche se menzionata nella Bibbia: Mosè non è un nome proprio di persona, poiché il suo significato è molto generico, significa infatti “il figlio di “ (nella tradizione ebraica il nome Mosè è seguito dal nome del padre). Dunque “figlio di”chi?   È  stato tolto il riferimento alla divinità egiziana e la figura di Mosè è stata portata ad un livello mitico: nella tradizione jawhista diventa legislatore, guerriero, in quella elohista è un profeta, uomo di grande spiritualità. In realtà, Mosè poteva essere anche un egiziano, magari figlio illegittimo e quindi tagliato fuori dalla successione dinastica di Ramses, che si ribella al faraone e guida la rivolta: quello che è importante è non assolutizzare una figura che racchiude tutte le caratteristiche del leader.  Inoltre una cosa è certa, perché riportata da tutti i racconti: egli non entrerà nella terra promessa, poiché quello che è più importante nel racconto della   storia di Mosè è il suo cammino di fede, di liberazione che lo coivolge insieme al suo popolo.  Nei fatti di ogni giorno si snoda  una storia di salvezza, di liberazione, una storia in cui si rivela Dio.   La promessa fatta ad Abramo si realizza in un lungo tempo, circa 300 anni. 

Nel capitolo 8 si delinea il contesto in cui si situa la vicenda dell’Esodo: si parla di un faraone megalomane, di rapporti di sfruttamento,di un progetto politico di genocidio per contenere le nascite, a cui si oppongono le levatrici chiamate dal potere ad essere le esecutrici delle disposizioni del re.     

In quale Dio credeva il Faraone? E le levatrici egiziane, in quale Dio credevano?  Dio èuno, ma gli uomini lo usano o lo servono: non sono gli egiziani che opprimono gli ebrei, poichèanche gli egiziani dei ceti piùumili sono oppressi dal potere del faraone.   

In Esodo, al capitolo 2 – versetti dall’1 al 10, troviamo un midrash, cioè un racconto popolare in cui si rielabora la nascita dell’eroe raccontata in modo da prefigurare quello che diventeràin seguito. Come midrash, ha lo scopo di far diventare ebreo Mosè. Si parla della figlia del faraone: era una donna sterile? Oppure votata dal padre al servizio alla divinità, ma vocata alla vita? Mosè poteva essere un figlio illegittimo?

La seconda parte del capitolo espone il fatto: Mosè è ormai un adulto. Due gli aspetti importanti che emergono: educato alla corte del faraone, Mosè ha assorbito la cultura della forza, della violenza, della politica, ma –si dice –conserva anche la sensibilità per la gente sfruttata che gli aveva comunicato sua madre, la figlia del faraone.  Su queste basi, si sviluppa in lui una solidarietà con gli ebrei e gli egiziani sfruttati, che viene però gestita inizialmente attraverso una mentalità del potere che risolve tutto “dall’alto”: il risultato è l’omicidio dell’egiziano. Nella tradizione ebraica ripresa in Atti cap. 7, Stefano dice “Mosè rimase quarant’anni alla corte del faraone, quaranta nel deserto (a disintossicarsi, a liberarsi) “: Mosè fa un lungo cammino di scoperta di chi è Dio: il Dio del potere, il Dio del sacerdote, il Dio del deserto, il Dio della fecondità della vita, dell’ospitalità…

Al cap. III Mosè sente il bisogno di andare oltre, anche oltre la religiosità pastorale di Ietro, perché i pastori non avevano problemi di sfruttamento. Ecco il Dio liberatore: ”Io sono presente, ascolto il grido…”,un Dio che invia e invita ad assumersi responsabilità.

 

LAVORO DI GRUPPO

Se il Dio di Esodo ha liberato un popolo schiavo per portarlo nella terra promessa, vuol dire che Dio è fatto così…ma quello che è scritto che rapporto ha con la mia storia?

Divisi in piccoli gruppi (massimo 6 persone),  guardiamo noi stessi, perché la storia biblica è anche storia per la vita, rispondendo alle domande. Ad ogni gruppo vengono dati tre cartoncini, su ogni cartoncino ogni gruppo scriverà una parola che riassuma le risposte e che poi si commenteranno nella condivisione finale tra tutti i gruppi.

1°Gruppo: il Dio del faraone Es. 1,8 e 5,1-5

2°Gruppo: Il Dio di Ietro  Es. 2,15-22;6,2-8;18,1-12

3°Gruppo: Il Dio Liberatore Es. 2,24;3,15;32,1-14

Quali caratteristiche di Dio emergono?

Da quali segni si vedono le scelte fatte?

A quali conseguenze portano? 

Sintesi dei lavori di gruppo

Canto:(De Gregori –Mannoia)  La storia siamo noi

Giochi per aiutare la socializzazione

Salmo da recitare a cori alterni (uomini-donne): Danzate Popoli

Il cammino di Mosè e il nostro cammino oggi  (cochico)

Negli esili in cui viviamo, è sentito il bisogno di Dio?

 L’esperienza che viviamo, che nome ci fa dare a Dio?

 Quale esodo (cammino) è possibile fare?

Per riscoprire cosa?

La Parola aiuta a capire come Dio parla a Mosè e come Mosè è disposto progressivamente a cambiare. Ne viene fuori: 

*   un Dio che si immerge nel nostro io interiore, riesce ad emergere dai nostri errori e a parlare con noi, con il nostro bisogno di giustizia e di pace; un Dio che ci fa diventare completamente uomini e donne, ci umanizza;

*    un Dio che mi accetta così come sono, misericordia;

*    un Dio che è anche Silenzio e parla nel silenzio;

*    un Dio amore-stupore-passione;

*    un Dio essenzialità.

*    L’esperienza di fede ci porta nel profondo di noi stessi e in questo cammino non dobbiamo avere paura di essere aiutati, ma anche di osare un cammino insieme, perché è difficile da soli riuscire a rintracciare nelle figure della Bibbia i faraoni attuali che ci opprimono, quelli personali e quelli sociali, se questo non si fa insieme.

*    La curiosità/sensibilità ci porta a vedere le difficoltà della vita degli altri.

Per capire quale cammino comune ci attende, ascoltiamo la Parola: Lc 24,13-35 il racconto dei discepoli di Emmaus

È il primo esempio di Lettura popolare della Bibbia che abbiamo: questo testo viene scritto dopo l’esperienza del sepolcro vuoto, narrata nel vangelo scritto dalla comunità di Luca.

Dio interviene nella storia per dirci che dobbiamo imparare a leggerla alla luce dell’esperienza che abbiamo vissuto accanto Gesù, che ci ha insegnato con la sua vita:

  • a prendere l’iniziativa, condividendo con gli ultimi e nella società;

  • a mettere in comune le esperienze della nostra vita;

  • ad avere speranza e fede, perché anche se le cose non vanno come ci si aspetta, non per questo sono da scartare;

  •  a vivere ad occhi aperti la realtà, guardando a come stanno i più poveri, a dove stanno gli esclusi;

  •  a darsi tempo: se qualcosa nel dialogo in comunitànon viene fuori è perché non è la cosa “forte”che prende i cuori in quel momento;

  •  ad invitare gli altri, chi è solo, chi è escluso, chi ha la morte nel cuore…ad unirsi a noi, perché siamo tutti nel cammino e se aiutiamo è perché siamo stati anche aiutati.

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